La peste Antonina e la fine del mondo antico.

La peste Antonina o peste di Galeno fu, molto probabilmente, un pandemia di vaiolo. Si propagò, entri in confini dell’impero, dai soldati dell’esercito che ritornavano dalle campagne militari contro i Parti. Da tempo ci si arrovella sulle ragioni della fine dell’Impero romano. È uno dei temi più dibattuti della storia. Sterminata la bibliografia in argomento. Secondo la discussa tesi di Edward Gibbon, storico e politico inglese(Putney 1737-Londra 1794), discepolo fedele di Voltaire, fu il cristianesimo a erodere l’Impero Romano. Le nuove tesi vedono parallelismi tra le odierne invasioni dal sud di masse diseredate e le, allora, calate dal nord di altrettanti masse umane. Il recente storico francese Michel De Jaghere fa capire che tutto iniziò col declino demografico. Dice che i legionari, tornati a casa dopo anni di leva, non s’adattavano a condizioni quasi servili e finivano con l’ingrossare la plebe urbana. Al contempo venivano meno la pietas e la fidelitas alla Res publica. Dilagavano il concubinaggio, l’edonismo, l’aborto, il divorzio. Poca gente a difendere i confini e da tassare. Si arruolarono i barbari per difendere le regioni di confine ad oriente e gli stessi cominciarono a chiedersi perché non obbedire ai loro capi naturali. Questi sono argomenti che comunque tradiscono un certo pregiudizio antiromano. Il ciclo dei dodici secoli di Roma è ricolmo di alti e bassi nei costumi, di cadute e ritorni di religioni di abbandoni e risalite della morale, di decadenze e rinascite.

Un passo indietro.

L’impero, sotto gli imperatori Marco Aurelio  e Lucio Vero, il cui nome Antoninus  derivato da quello del padre e da cui prese nome la malattia contagiosa, aveva raggiunto il suo apogeo con alti livelli di benessere  ed equilibrio. La capitale era popolata da un milione e duecentomila abitanti. Il governo amministrativo era solido, l’organizzazione religiosa stabilizzata, le vie di comunicazione agevoli, molte le opere pubbliche quali ponti, acquedotti, basiliche e terme. Poi, di colpo e in pochi anni, il crollo demografico, la crisi economica, lo svuotamento delle casse dello stato e delle rimesse erariali, lo sfaldamento della leva militare, l’appalto dei barbari, l’esplosione del cristianesimo. Cosa era mai successo? Durante il principato di Marco Aurelio e Lucio Vero, la Romanità fu investita dall’uragano micidiale della Peste Antonina(dal nome della casa regnante). Si trattò di una epidemia ventennale che provocò milioni di morti e che sconvolse l’equilibrio delle malattie presenti allora nella popolazione. Fu una pestilenza, ricorda Galeno, contemporaneo all’evento e medico personale di Marco Aurelio, che provocava febbre alta, diarrea, pustole cutanee, lesioni al cavo orale e alla laringe, tosse sanguinolenta, emorragie interne, nausea, vomito, insonnia, disturbi mentali. Una malattia che portava a morte se non si guariva nei primi dodici giorni dalla manifestazione dei sintomi. Ritroviamo la descrizione di Galeno, medico e scrittore greco, nel suo trattato Methodus Memendi e in altri suoi scritti. Egli si trovava ad Aquileia nel 168 d.c. al momento dello scoppio della epidemia tra le truppe lì stanziate. Era verosimilmente il vaiolo ipotesi avvalorata dai sintomi descritti. Lo contrassero i soldati romani nella guerra vittoriosa contro i Parti in Mesopotamia, nell’estate del 165 d.c.. Il contagio avvenne in Seleucia. Il morbo probabilmente fu veicolato dalle scorribande degli Unni, popolo guerriero nomade che gli ultimi studi danno come una sorta di lega di etnie diverse.  Altre fonti narrano di un atto di empietà nel tempio di Apollo nella vicina Babilonia dove i legionari avrebbero accidentalmente violato una teca d’oro da cui si sarebbero sprigionati effluvi catastrofici. Sia come sia, il vaiolo si estese in poco tempo in tutto l’impero. Dall’Iraq e dall’Egitto risalì nei Balcani, entrò in Italia dall’Istria e si diffuse nella penisola, in Gallia, sul Reno e oltre. Nel 166 Galeno fuggì da Roma per il timore di una congiura dei suoi rivali ma un’altra ipotesi parla per il manifestarsi dei primi segni dell’epidemia. Ventitré anni più tardi, nel 189, le fonti parlano di un nuovo focolaio che provocò ancora di duemila morti al giorno solo a Roma. Lo stesso Marco Aurelio emanò direttive severissime di igiene pubblica e accollò le spese dei funerali privati allo Stato. Questo evento epidemico si intrecciò con la guerra che Marco Aurelio condusse con Lucio Vero sui Marcomanni che avevano assediato Aquileia. Di lì a poco muore Lucio Vero e nel 180, per contagio muore anche Marco Aurelio. Venendo a mancare la materia prima romana furono assoldati i barbari per difendere i confini dell’impero. Si  decimarono i contribuenti, si bloccarono le opere pubbliche e le manutenzioni, si spopolarono i villaggi, si scatenarono crisi alimentari, si ridusse l’emissione di moneta. Alcuni autori dicono che il vaiolo fece dai cinque ai trenta milioni di morti in vent’anni, un dimezzamento della popolazione, quindi dal 10 al 30% della popolazione dell’Impero stimata dai cinquanta ai cento milioni di persone.

Il buio medioevo annunciava il suo inquietante arrivo.