Le malattie tra mente e corpo
La peste di Cipriano fu una pandemia che colpì l’impero romano dal 249 al 262 d.C.. Si pensa che l’epidemia abbia causato diffuse carenze di manodopera per l’agricoltura e per l’esercito romano, e indebolito gravemente l’impero durante la crisi del terzo secolo. Il suo nome moderno commemora San Cipriano, vescovo di Cartagine , scrittore paleocristiano che fu testimone e descrisse la malattia.
Tascio Cecilio Cipriano nacque a Cartagine verso il 210 d.C.. Di Cipriano giovane sappiamo che è nato pagano; venne battezzato verso il 245 e nel 249 è vescovo di Cartagine. Nel 250 l’imperatore Decio ordina che tutti i sudditi onorino le divinità pagane e ricevano così il libello, attestato di patriottismo. Per chi rifiuta carcere e tortura o anche la morte. A Cartagine, Cipriano si nasconde, guidando i fedeli alla clandestinità. Cessata la persecuzione (primavera 251 d.C.) molti cristiani, che avevano ceduto per paura, vorrebbero tornare alla Chiesa. Ma quelli che non avevano ceduto si dividono tra indulgenti e rigoristi. San Cipriano è indulgente in linea con Papa Cornelio, il quale si trova davanti uno scisma provocato da Novaziano, prete dotto che aveva retto la Chiesa dopo il martirio di Papa Fabiano e prima dell’elezione di Cornelio.
Le vicende religiose si intrecciano con quelle politiche. Decio, successore di Treboniano Gallo, è spinto a perseguitare i cristiani perché c’è la peste, e la “voce del popolo” ne accusa i cristiani, additati come “untori” in qualunque calamità. Cipriano diede prova del suo coraggio e della sua carità in questa epidemia che infuriò e devastò l’Africa negli anni 252-254 d.C.. Egli, avendo confessato la sua fede, viene mandato in esilio a Curubis. Ritornò a Cartagine quando vi rientrò il proconsole Galerio Massimo, e il 14 settembre del 258 fu condannato a morte; il giorno dopo, davanti una folla di credenti, venne decapitato.
L’epidemia fu violenta e Cipriano, scrittore e poi dichiarato santo la descrisse come la fine del mondo. Negli scavi in Egitto, nel complesso funerario di Harwa e Akhimerun, a Luxor, gli archeologi hanno trovato tracce di epidemia anche nella terra dei Faraoni. Le prove sono oggetti e resti umani di individui probabilmente vittime del vaiolo o del morbillo. Archeologi italiani, in missione a Luxor nel 2014,hanno trovato i resti di una catasta di corpi infetti e oggetti legati a quello sconvolgimento epocale. Tutti i reperti sono stati interpretati come risultato di una azione per lo smaltimento di morti per contagio. Si stima che l’epidemia arrivò ad uccidere anche 5mila persone al giorno nella sola Roma.
Etiologia. Lo storico William Hardy MacNeill afferma che sia la precedente peste Antonina che la peste di Cipriano furono i primi salti di specie all’umanità di due diverse malattie da ospiti animali, una di vaiolo e una di morbillo. Altro studioso Dionysios Stathakopoulos afferma che entrambi i focolai erano di vaiolo. Secondo lo storico Kyle Harper, i sintomi attribuiti dalle antiche fonti alla peste di Cipriano corrispondono meglio a una malattia virale che causa una febbre emorragica, come l’ebola, piuttosto che il vaiolo.
Nel suo saggio “De mortalitate”, Cipriano descrisse i sintomi della epidemia, con analogie moraleggianti, come un processo che colpisca le viscere, un incendio che origina dal midollo e scarica la forza dal corpo. Gli intestini vengono smossi da un vomito continuo e gli occhi sono in fiamme per le congiuntive iniettate. In alcuni casi alcune parti degli arti sono risparmiate dal contagio, l’andatura indebolita, l’udito ostruito, la vista oscurata. Al contempo asserisce che è redditizio affrontare, come testimonianza di fede e grandezza di spirito, la lotta con tutti i poteri di una mente incrollabile nei confronti di tanta devastazione e di morte. La fede appare nel De mortalitate come l’unica terapia per l’anima prostata dalla malattia del corpo e depressa per paura della morte. La sua opera consente di valutare la funzione di Cipriano nel rielaborare le tematiche proprie della tradizione medico filosofica e trasferirle all’interno della catechesi cristiana. Egli guarda alla teorica stoica dell’analogia tra medicina e parenesi nella cura della dell’anima. I destinatari della sua terapia sono l’intera collettività, cristiani e non. Ponzio racconta nella Vita Cypriani: “Furono dunque distribuiti subito i compiti secondo le qualità degli uomini e loro condizioni. Molti a causa della povertà non potevano spendere, offrivano più del denaro, pagando con il proprio lavoro un prezzo più caro di ogni ricchezza”. Cipriano combatte la psicosi collettiva e segna il nuovo modo di porsi dell’etica cristiana nei confronti della malattia.
Una dovuta riflessione su questa pestilenza è che i risvolti sulla psiche di eventi simili riconducono alla valutazione medico-filosofica sulla psicopatologia. Come rilevato da Jacke Pigeaud sul suo studio sulla “malattia dell’anima”, l’espressione è una analogia originata dalla supposizione che l’anima, come il corpo, possa essere affetto da malattia. La presa di coscienza medica e filosofica, nonché la constatazione dell’interazione tra mente e corpo, hanno fatto si che la medicina e l’etica collaborassero a fornire interpretazioni e spiegazioni di quel complesso fenomeno che rientra nel territorio della psicopatologia. Nell’ambito della cultura cristiana l’approccio al problema malattia investe l’etica e la catechesi.
Rosa Giaquinta